Cavalieri romani in battaglia (dal Mausoleo di
Glanum, di età augustea)
At pater Aeneas nondum certamine misso
custodem ad sese comitemque impubis Iuli
Epytiden vocat, et fidam sic fatur ad aurem:
“Vade age et Ascanio, si iam puerile paratum
agmen habet secum cursusque instruxit equorum,
ducat avo turmas et sese ostendat in armis
dic” ait. Ipse omnem longo decedere circo
infusum populum et campos iubet esse patentis.
Incedunt pueri pariterque ante ora parentum
frenatis lucent in equis, quos omnis euntis
Trinacriae mirata fremit Troiaeque iuventus.
Omnibus in morem tonsa coma pressa corona;
cornea bina ferunt praefixa hastilia ferro,
pars levis umero pharetras; it pectore summo
flexilis obtorti per collum circulus auri.
Tres equitum numero turmae ternique vagantur
ductores; pueri bis seni quemque secuti
agmine partito fulgent paribusque magistris.
Una acies iuvenum, ducit quam parvus ovantem
nomen avi referens Priamus, tua clara, Polite,
progenies, auctura Italos; quem Thracius
albis
portat equus bicolor maculis, vestigia primi
alba pedis frontemque ostentans arduus albam.
Alter Atys, genus unde Atii duxere Latini,
parvus Atys pueroque puer dilectus Iulo.
Extremus formaque ante omnis pulcher Iulus
Sidonio est invectus equo, quem candida Dido
esse sui dederat monimentum et pignus amoris.
Cetera Trinacriis pubes senioris Acestae
fertur equis.
Excipiunt plausu pavidos gaudentque tuentes
Dardanidae, veterumque agnoscunt ora parentum.
Postquam omnem laeti consessum oculosque suorum
lustravere in equis, signum clamore paratis
Epytides longe dedit insonuitque flagello.
Olli discurrere pares atque agmina terni
diductis solvere choris, rursusque vocati
convertere vias infestaque tela tulere.
Inde alios ineunt cursus aliosque recursus
adversi spatiis, alternosque orbibus orbis
impediunt pugnaeque cient simulacra sub armis;
et nunc terga fuga nudant, nunc spicula vertunt
infensi, facta pariter nunc pace feruntur.
Ut quondam Creta fertur Labyrinthus in alta
parietibus textum caecis iter ancipitemque
mille viis habuisse dolum, qua signa sequendi
frangeret indeprensus et inremeabilis error;
haud alio Teucrum nati vestigia cursu
impediunt texuntque fugas et proelia ludo,
delphinum similes qui per maria umida nando
Carpathium Libycumque secant luduntque per undas.
Hunc morem cursus atque haec certamina primus
Ascanius, Longam muris cum cingeret Albam,
rettulit et priscos docuit celebrare Latinos,
quo puer ipse modo, secum quo Troia pubes;
Albani docuere suos; hinc maxima porro
accepit Roma et patrium servavit honorem;
Troiaque nunc pueri, Troianum dicitur agmen.
Hac
celebrata tenus sancto certamina patri.
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Ma il padre
Enea, non ancora finita la gara,
chiama a sé Epitide, tutore e compagno
del giovane Iulo e così parla all'orecchio fidato:
"Orsù vai e di' ad Ascanio se ha già con sé pronta
una giovane schiera ed ha disposto la giostra di cavalli,
guidi le squadre per il nonno e si mostri nelle armi"
disse. Egli ordina che tutto il popolo, entrato
nel grande
circo, si ritiri e si liberi il campo.
Avanzano i ragazzi, insieme sotto lo sguardo dei genitori
brillano sui cavalli frenati, e tutta la gioventù della Trinacria
e di Troia, ammirandoli mentre procedono, freme.
Secondo l'uso, tutti han la chioma cinta di una ghirlanda rasa;
portano due aste di corniolo con punta di ferro,
Una parte, leggere faretre in spalla; una collana di duttile
oro intrecciato corre sul collo.
Tre squadre in tutto di cavalieri e tre capitani
volteggiano; seguendo ciascuno, sei e sei ragazzi
con schiera divisa splendono e con a capo i maestri.
Guida una schiera esultante di giovani il piccolo
Priamo, che ripete il nome del nonno, tua famosa progenie,
o
Polite, destinata
ad accrescere gli Itali; e lo porta
un cavallo
tracio bicolore, con macchie bianche, che mostra
pezze bianche in fondo al piede e, dritto, la fronte bianca.
Secondo è Atis, da cui i latini Azii trassero la stirpe,
il piccolo Atis, ragazzo amato da Iulo ragazzo.
Ultimo e prima di tutti bello d'aspetto, Iulo,
e portato da un cavallo sidonio, che la candida Didone
aveva donato, in ricordo e in pegno del suo amore.
L'altra gioventù è portata da cavalli trinacrii dell'anziano
Aceste.
Li accolgono con l'applauso, e si divertono a vederli timidi,
i
Dardanidi; e riconoscono i volti degli antichi antenati.
Dopo che lieti sui cavalli osservarono tutta l'assemblea
e gli occhi dei loro, da lontano Epitide diede con un grido
il segnale ai pronti e schioccò con la frusta.
Essi allineati corsero ed aprirono le schiere a tre a tre,
separati i gruppi, e di nuovo chiamati
invertirono le vie e portarono le armi puntate.
Poi iniziano, affrontandosi, altri giri ed altri ritorni
negli spazi, ed intrecciano giri alterni con giri
e in armi evocano figure di battaglia;
or con la fuga scoprono le spalle, ora aggressivi
volgon le armi, ora fatta la pace cavalcano in linea.
Come un tempo, si dice, nell'alta Creta il Labirinto
aveva un passaggio coperto da buie pareti ed un doppio
inganno con le mille vie, per dove un incomprensibile
ed irripetibile intrico rompeva i segnali del proseguire;
non diversamente i figli dei Teucri bloccano di corsa
i
passaggi ed intrecciano fughe e scontri per gioco,
simili ai delfini, che nuotando per gli umidi mari solcano il mare Carpatico e Libico e giocano nell'onde. Ascanio per primo ripeté questo tipo di corsa e queste gare, cingendo di mura Alba Longa, ed istruì gli antichi Latini a celebrarli, nel modo in cui lui da ragazzo, e con lui la gioventù troiana; Gli Albani insegnarono ai loro; di qui poi la grandissima Roma imparò e conservò il rito dei padri; ora si chiama "Troia" ed i ragazzi "schiera troiana". Fin qui le gare celebrate per il divino padre. |
Stiamo seguendo Enea che, dopo
il racconto del duro contrasto tra l’amore appassionato per Didone e i richiami
degli dèi perché compisse il proprio dovere (IV libro), è ora sbarcato in
Sicilia, e si trova in quel di Drèpano proprio nei giorni del primo
anniversario della morte di Anchise. Da buon figlio, onora la memoria del padre
con la massima generosità, che comprende, oltre ai riti religiosi sulla tomba
paterna, l’indizione di ricchi giochi funebri, per la gioia di Troiani e di
Siciliani.
Si sono già svolte le gare
previste: la grande regata che ha impegnato gli equipaggi di quattro navi, la
gara di corsa vinta da Eurialo, il duello pugilistico sorprendentemente vinto
dall’anziano Entello, la gara di tiro con l’arco che ha visto coronare l’amico
Aceste, grazie a un favorevole prodigio degli dèi. Bisogna dire che questo è certamente
un giorno di vera gioia per Enea, con alcuni passaggi delle gare addirittura
esilaranti per tutto il popolo troiano al suo seguito e per gli amici siciliani
di origine troiana, del popolo di Aceste.
E viene il momento conclusivo
dei giochi funebri: la giostra dei giovani cavalieri troiani, che sembra quasi
una “sorpresa” preparata da Enea e Ascanio all’insaputa degli altri. Non era
stata nominata nel “programma” indicato da Enea ai versi 66 – 70, dove egli
aveva elencato: “indirò ai Teucri per prima la gara delle veloci navi; / chi
vale nella corsa a piedi e chi, audace di forze, / avanza migliore nel
giavellotto e nelle agili frecce, / chi osa attaccare battaglia col rude cesto,
/ si presentino tutti, e aspettino i meritati premi della palma.”
Narrativamente, si tratta di un
episodio molto significativo nel contesto della celebrazione del pater
Anchise: infatti, ci troviamo di fronte alla presentazione in pubblico dei
giovani, che per la prima volta (non lo hanno certo potuto fare durante le
peregrinazioni per il Mediterraneo, né a Cartagine) dimostrano di “essere
grandi” sotto gli occhi dei genitori (ante ora parentum). Le sfumature
psicologiche sono molteplici e ben caratterizzate da Virgilio: i giovani
“cresciuti”, a cavallo lucent, e più sotto fulgent; la gioventù
troiana e sicula che osserva la parata fremit, i Dardanidi “anziani” Excipiunt
plausu pavidos gaudentque tuentes: in quest’ultimo verso i termini sono
quasi tutti “connotati” emotivamente; in sintesi, i giovani si sentono laeti,
come dice il verso successivo, ed avviene quella tipica situazione in cui i
grandi riconoscono nei ragazzi i tratti somatici degli avi, spesso ormai
scomparsi (veterum... agnoscunt ora parentum): “Come assomiglia al
nonno... alla nonna...!”
Che rilievo hanno per la trama complessiva
dell’Eneide tutta questa commozione e questa gioia? Certamente esse sono legate
al significato simbolico profondo della giostra: in sostanza, si tratta di una
visualizzazione del “passaggio generazionale”, realizzata per giunta proprio in
occasione della celebrazione dell’avo defunto. E’ la “presentazione in società”
(maschile) dei giovani che diventano grandi e lo dimostrano evidenziando le
loro capacità di combattimento a cavallo.
Incastonata in questo quadro
felice troviamo una gemma che ci risulterà molto significativa: la prima
schiera è guidata da... Priamo! Un sussulto emotivo è più che giustificato per
il lettore medio. Ancor più ci stupirà questo nome se siamo stati attenti a
quel fil rouge che abbiamo seguito nelle letture precedenti dell’Eneide.
E resteremo commossi dall’apostrofe che ci svela l’origine di tale giovane:
“...Priamus, tua clara, Polite, / progenies”. Dunque questo nuovo Priamo
è il figlio di Polite! Quel Polite che abbiamo visto uccidere da Pirro
Nettòlemo sotto gli occhi di nonno Priamo. Polite che Virgilio sembra
confortare, tramite la suddetta apostrofe, figura retorica quanto mai opportuna
in questa sede: essa segnala infatti un “dialogo in corso” tra l’autore e il
personaggio apparentemente minore, ma portatore di un significato importante.
E’ evidente pure quanto sia ben scelto il momento di tale “rivelazione”: il
contesto è quello che maggiormente valorizza la genealogia, la celebrazione
della stirpe nella sua perpetuazione attraverso le nuove generazioni che
diventano adulte (o almeno adolescenti).
Se siamo lettori attenti,
troviamo un’ulteriore conferma del legame tra questo passo e il II libro: la iunctura
“ante ora parentum”, che qui ricorre per ben due volte in una ventina di
versi... era presente pure nell’episodio della morte di Polite sotto gli occhi
di Priamo nel II libro: ut tandem ante oculos evasit et ora parentum, / concidit
ac multo vitam cum sanguine fudit. Risuona inoltre il termine oculos,
che richiama lo stesso “gioco di sguardi” nei versi Postquam omnem laeti
consessum oculosque suorum / lustravere in equis...
Ancora una volta, tra le righe
dell’Eneide, in un piccolo particolare, stiamo riscontrando una sommessa
risposta che la storia fornisce all’autore: potremmo pure noi ripetere a
Virgilio a mo’ di affermazione quella che era stata la domanda di Priamo nel
momento terribile della fine di Troia: est pietas quae talia curet! La
stirpe di Priamo non è distrutta, nonostante gli innumerevoli figli uccisi
sotto i suoi occhi; nonostante Ettore, Polite, Polidoro... e mentre nel III
libro avevamo scoperto, nell’incontro di Enea con Andromaca, che Pirro
Neottòlemo ha subito una sorta di contrappasso venendo ucciso ad aras,
ora ci rendiamo conto che un novello Priamo guida una delle tre schiere di giovani
speranze, che costituiranno il futuro della nuova città.