Che io parli, che si possa interloquire con altri, che ci si capisca è una specie di meraviglia che dovrebbe provocare molte domande, molti interrogativi in ogni parlante.
A cominciare da una stupefacente ambivalenza della lingua: essa, da un certo punto di vista, appare come un “meccanismo” rigoroso e preciso, tanto che chiunque, di fronte a un errore linguistico, si sente istintivamente spinto all’immediata correzione (“non si dice così!”), se non alla derisione di chi “sbaglia” o alla commiserazione dello “straniero”, che – poveretto! – non riesce a parlar bene. Occorre notare che questa serie di atteggiamenti rimane ancora perfettamente in vigore in una società, come la nostra, in cui le “regole” sono tranquillamente e abbondantemente misconosciute, se non del tutto “saltate”.
Da un altro punto di vista, la lingua è giustamente percepita come un qualcosa di totalmente mio, sono sempre io che parlo, e questa mia personalità libera, di cui nell’età della crescita divento sempre più consapevole, la voglio esplicitare via via anche nei miei atti linguistici, come nel mio modo di camminare o di vestire o di colorare lo zaino scolastico o il diario. Dunque, la lingua come massima espressione della creatività personale, confermata pure dall’istituzione scolastica: tanto è vero che proprio a scuola si studia un’infinita serie di “autori”, valorizzati ed elogiati proprio per aver detto qualcosa di nuovo, di originale, di caratteristico…
Che cosa c’è sotto? Come mai ci comportiamo istintivamente in questi due modi? Come affrontare una riflessione su questo fenomeno “clamoroso”? Una risposta esauriente sarebbe lunghissima, in quanto il “fenomeno” lingua implica la partecipazione di innumerevoli elementi, che si possono analizzare quasi all’infinito. Di fronte alla confusione, in parte dovuta alla proliferazione delle scuole di analisi linguistica, e di fronte al crescente disinteresse per lo studio della propria lingua, sembra importante provare a osservare in modo semplice e accessibile alcuni aspetti meravigliosi del parlare, così da non perderli di vista per eccesso di analisi. E – si spera – per ritrovare il gusto di riflettere sulla lingua.
Alcuni dei prossimi “Pensierini”:
Esistono le “parti del discorso”?
Quando è nato l’aggettivo?
Che cos’è propriamente l’analisi logica?
Che cos’è il soggetto?
Che cos’è il predicato nominale e in che cosa si differenzia dai complementi predicativi del soggetto?
Quali complementi esistono davvero?
Che cos’è il complemento di specificazione?
Come raggruppare i complementi in modo sensato?
Le figure retoriche: come mai?
Un ritmo degli slogan: la metrica.
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