…almeno la
bellezza di un particolare brano dantesco, senza troppe pretese universali!
I fatti qui
narrati sono tutti veri e sono avvenuti in un contesto non particolarmente
agevole: voglio dire che non si tratta di una classe modello, di una scuola
modello, di un momento di assoluta tranquillità: e forse proprio per questo
l’esperienza è stata ancora più interessante e affascinante.
Dicembre
2011: stiamo quasi concludendo la lettura della prima parte, dedicata all’Inferno
dantesco, del libro La Commedia. Si tratta di un valido, colto e intelligente
adattamento della “trama” della Commedia dantesca per ragazzi di scuola media.
Il testo non rinuncia ad ampi brani originali, mai appesantiti da apparati
troppo analitici di note e spiegazioni.
Come altri
anni, giunti al canto XXVI dell’Inferno, lancio la “sfida della memoria”: si
tratta di imparare tutto il brano di Ulisse (da Lo maggior corno de la
fiamma antica a infin che ‘l mar fu sovra noi richiuso), impresa
impegnativa ma non impossibile. Il lavoro inizia appena prima di Natale con un
certo divertimento, qualcuno si cimenta anche a recitare in vari modi, con
effetti comici; durante le vacanze i ragazzi hanno il compito di arrivare fino
al termine del brano.
Alla prima
verifica a gennaio, grande soddisfazione di tutti (docente compreso): ce
l’hanno fatta e meritano valutazioni molto buone. Solo qualcuno deve ancora
completare la memorizzazione, cosa che avviene nelle settimane di gennaio.
Verifica finale scritta su tutto il racconto dell’Inferno, anch’essa con buoni
risultati e soddisfazione.
Inizia la
lettura del Purgatorio: mi viene in mente, dati i precedenti, di fare una
prova: prima di leggere la sintesi – pur valida – presente nel libro di testo,
“vi leggo – con il testo sulla LIM – tutto il primo canto del Purgatorio: e mi
dite se vi ricorda qualcosa; state attenti perché Dante ha proprio l’intenzione
di creare dei déjà vu: vediamo quali scopriamo”.
Così ci
addentriamo nella narrazione del Canto I e scopriamo un paesaggio e
un’ambientazione mattutina che richiamano gli elementi del canto proemiale: è
mattino, il sole sta sorgendo, c’è un colle da salire, c’è un personaggio
solitario (Catone) che ci attende; anch’egli come Virgilio è un saggio romano…
e i ragazzi pongono la domanda “perché viene presentato come custode del
Purgatorio un pagano, e per giunta uno che ha protestato in modo così clamoroso
– con il suicidio – contro Cesare, i cui uccisori sono tra i dannati
peggiori?” Accenno qualche pista di soluzione, senza concludere tutto: ma già
qui si vede che la classe sta rispondendo ed è ben sveglia! Catone indica a
Virgilio una breve cerimonia da compiere per preparare Dante a salire il monte
del Purgatorio; nell’indicare il tragitto da compiere, viene completata anche
la descrizione del paesaggio: siamo su un’isola, che ha una spiaggia, tutti
elementi che in qualche modo erano presenti anche nel canto proemiale.
Ma il bello –
è il caso di usare questo termine – avviene verso la fine: quando giungiamo
alle ultime due terzine “esplodono” le segnalazioni, che qui evidenzio
colorando le parole che vengono segnalate come “già sentite” nel canto di
Ulisse:
Venimmo poi
in sul lito diserto,
che mai non vide navicar sue acque
132 omo, che di tornar sia poscia esperto.
Quivi mi cinse sì com’altrui piacque:
oh maraviglia! Ché qual elli scelse
135 l’umile pianta, cotal si rinacque
subitamente là onde l’avelse.
che mai non vide navicar sue acque
132 omo, che di tornar sia poscia esperto.
Quivi mi cinse sì com’altrui piacque:
oh maraviglia! Ché qual elli scelse
135 l’umile pianta, cotal si rinacque
subitamente là onde l’avelse.
Dopo la rassegna
di “allusioni” (spiego ai ragazzi che questi richiami un po’ nascosti si
chiamano così) proviamo a tirare le somme e cercare di capire che cosa ci vuole
comunicare Dante; perché è chiaro che non siamo di fronte a riferimenti
casuali. Abbiamo scoperto infatti che:
1)
gli
elementi del paesaggio ricordano il canto iniziale
2)
le
parole finali alludono al viaggio di Ulisse: e qui sotto riporto i versi che i
ragazzi mi ricordano.
…quando venimmo a quella
foce stretta…
L’un lito e l’altro vidi…
…compagna / picciola, da la qual non fui diserto…
Tre volte il fé girar con tutte l’acque
…l’ardore / ch’i’ebbi a divenir del mondo esperto…
…e la prora ire in giù, com’altrui
piacque;
Le allusioni al
canto XXVI dell’Inferno sono molte e molto chiare: devo dire che prima di
questa lettura in classe, io stesso ne avevo notate solo alcune (e ho
verificato che non tutte vengono segnalate dai commenti esistenti).
Abbiamo dunque
quattro versi che sono quasi un “rimpasto” di lessico presente nel brano
dell’Inferno, per giunta con quattro rime alternate prese di sana pianta da
quel canto. Casomai il lettore fosse un po’ distratto – ma non lo sono stati i
ragazzi in classe –, Dante corona il tutto con un’intera frase riutilizzata: com’altrui
piacque. Perché questi riferimenti? Che cosa vuole indicarci l’Autore?
Innanzitutto, le allusioni così abbondanti ci portano a capire che Ulisse stava
quasi riuscendo, con il suo folle volo, a raggiungere la montagna
del Purgatorio: è solo qui in realtà che dovremmo sapere come lettori che la
“montagna bruna” altro non è che il monte destinato a purificare le anime. E
allora riusciamo finalmente a comprendere perché Dio ha voluto il naufragio
della barca di Ulisse: perché è impossibile salire a Dio con le sole forze
naturali!! Lo ha esplicitato Catone, apostrofando i due pellegrini appena
usciti dal pertugio tondo: Son le leggi d’abisso così rotte? / O è mutato in
ciel novo consiglio / che, dannati, venite a le mie grotte?
Appurato questo,
il fatto che Virgilio abbia raccontato a Catone la situazione di Dante
all’inizio del viaggio descrivendola come una follia (questi non vide
mai l’ultima sera / ma per la sua follia le fu sì presso / che molto poco tempo
a volger era) accosta l’esperienza di Ulisse a quella iniziale di Dante: e
ci fa capire, sempre in modo misterioso, che anche Dante stava cercando di fare
qualcosa di impossibile: salire il colle senza aiuto dall’alto. Abbiamo allora
capito che i due tipi di allusioni non erano casuali. I déjà vu ci hanno
aiutato a riflettere e ci hanno aperto alla comprensione di molti collegamenti.
E ora, che cosa
sta succedendo di nuovo in questo scorcio finale del canto I? Che differenza
c’è rispetto a quelle storie di follia? Sarà possibile salire il monte,
adesso? Sì, e le istruzioni di Catone si rivelano fondamentali; in particolare,
la differenza rispetto al canto proemiale, in cui era Dante a tentare di
“salire” da solo, è data dalla cerimonia conclusiva: ciò che consente ora a
Dante di iniziare a salire è un elemento che gli viene donato: il giunco.
La domanda
conclusiva diventa allora: di che si tratta? Che cos’è questo giunco, che ha un
evidente valore di simbolo? I ragazzi, invitati a trovare il termine chiave di
questi ultimi versi, hanno rapidamente individuato l’aggettivo umile,
che viene attribuito alla pianta.
E qui è venuta in
soccorso un’altra lettura appena svolta dal docente nella classe I secondaria:
la cerimonia di entrata nell’Aldilà da parte di Enea (VI libro dell’Eneide, che
in tutte le I secondarie leggiamo per intero, come racconto appassionante).
Un’allusione forse difficile per il lettore moderno, ma molto congeniale a
Dante, che indica chiaramente Virgilio come la sua guida. Ebbene, per chi
conosce l’Eneide e legge gli ultimi due versi del canto primo del Purgatorio,
il gioco è fatto: il giunco ricresce immediatamente proprio come il
ramoscello d’oro che Enea, su indicazione della Sibilla, trovava per entrare
nell’Ade!
Dunque, qual è la
conclusione? Essa è “facile” per chi
vede tutto questo tessuto di richiami: il
“ramoscello d’oro” che apre le porte dell’Aldilà per un cristiano è l’umiltà.
Ed è ciò che mancava nelle due situazioni precedentemente raccontate: mancava a
Dante all’inizio del poema, mancava a Ulisse nel suo folle volo.
Una bella
scoperta: nata da un’attenta osservazione del racconto, dopo la fatica – del
tutto ripagata – di aver memorizzato un importante brano del poema dantesco.
Caro Paolo, quello che dici va ulteriormente arricchito. Il riferimento è al popolo eletto che si lascia alle spalle la schiavitù d'Egitto e attraversato il mar Rosso (noto come mare dei Giunchi) si purifica e affronta il deserto: cerca la parola deserto nel I del Purg. Il gioco di Dante è ancora più ricco. Se leggi la lettera a Cangrande (XIII, 7) il cerchio riferito ad Esodo si chiude: come nel I dell'Inf. Dante naufrago che non può salire al colle, adesso, purificato, può. Singleton docet. Provare per credere.
RispondiEliminaGrazie Prof 2.0, terrò presente per i prossimi passaggi da quelle parti (con le prossime classi)!!
EliminaE' sorprendente (e incoraggiante) scoprire a quali livelli di attenzione e di partecipazione possano arrivare gli studenti - anche quelli così giovani - quando sono seguiti bene e quando sentono di essere seguiti con cura dai loro docenti.
RispondiEliminaGrazie Sergio, alla prossima!
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