Queste brevi considerazioni nascono da una
domanda: è vero che i cristiani considerano questo mondo come una “valle di
lacrime”? Questa espressione corrisponde a un autentico atteggiamento cristiano
nei confronti del mondo? E può essere considerata una sintesi valida dello
sguardo evangelico sulla realtà della vita terrena?
Perlomeno a
partire dall’Ottocento, l’immagine della “valle di lacrime” è
stata bersaglio della critica atea, in particolare in area tedesca da parte
di Karl Marx e Heinrich Heine; di quest’ultimo è divenuta
proverbiale in Germania la citazione, ironica, della
suonatrice di arpa, che sogna rassegnata un aldilà compensatorio rispetto alle
sofferenze della vita:
Sie sang vom irdischen Jammertal,
Von Freuden, die bald zerronnen,
Vom Jenseits, wo die Seele schwelgt
Verklärt in ew'gen Wonnen.
Cantava della valle di lacrime
terrestre,
Delle gioie, che ben presto
svanirono,
Dell'aldilà, dove l'anima gode
Trasfigurata nella beatitudine
eterna.
(Deutschland.
Racconto d'inverno), (1844)
Se ci interessa trovare una risposta a queste
facili ironie, potrà venirci in aiuto la scoperta, modesta ma ricca di
conseguenze, che l’espressione, presente nella preghiera della “Salve Regina”, dove gli oranti si presentano come “gementi e piangenti
in questa valle di lacrime” (gementes
et flentes in hac lacrimarum valle), ha un’evidente origine biblica
nel salmo 84 (83); per effettuare adeguati confronti, riporto qui per esteso
anche tale salmo, nella traduzione CEI – UELCI 2008.
1Quanto sono amabili
le tue dimore,
Signore
degli eserciti!
2L’anima mia anela
e
desidera gli atri del Signore.
3Il mio cuore e la
mia carne
esultano
nel Dio vivente
4Anche il passero
trova una casa
e
la rondine il suo nido
dove
porre i suoi piccoli,
presso
i tuoi altari,
Signore
degli eserciti,
mio
re e mio Dio.
5Beato chi abita
nella tua casa,
senza
fine canta le tue lodi.
6Beato l’uomo che
trova in te il suo rifugio
e
ha le tue vie nel suo cuore.
7Passando per la
valle del pianto
la
cambia in una sorgente;
anche
la prima pioggia
l’ammanta
di benedizioni.
8Cresce lungo il cammino
il suo vigore,
finché compare davanti a Dio in
Sion.
9Signore, Dio
degli eserciti, ascolta la mia preghiera,
porgi l’orecchio, Dio di
Giacobbe.
10Guarda, o Dio
colui che è il nostro scudo,
guarda il volto del tuo
consacrato.
11Sì, è meglio un giorno
nei tuoi atri
che mille nella mia casa,
stare sulla soglia della casa del
mio Dio
è meglio che abitare nelle tende dei
malvagi.
12Perché sole e scudo è
il Signore Dio,
il Signore concede grazia e gloria,
non rifiuta il bene
a chi cammina nell’integrità.
13Signore degli eserciti,
beato l’uomo che in te confida.
La nota al salmo,
nella citata edizione CEI – UELCI, evidenzia: “Il centro di questo “canto di
Sion” (vedi nota a Sal 46) è il tempio di Gerusalemme, dove il Signore di tutto
l’universo ha posto la sua dimora e da dove effonde vita e benedizione per il
suo popolo. Le parole di questo canto sono messe sulle labbra del pellegrino,
che ritma la preghiera con un triplice
movimento: il desiderio struggente della casa del Signore, il cammino verso
la città santa e il tempio (probabilmente un pellegrinaggio in occasione delle
tre principali feste dell’anno) e l’ingresso nel tempio, che diventa anche la
meta ideale del cammino interiore dell’uomo verso Dio” (mio corsivo).
L’espressione “valle del pianto” (v.7) traduce l’ebraico עמק הבכא emek habaka (Valle della Baka’): un’area senz’acqua che doveva essere attraversata nel pellegrinaggio, prima di giungere alla meta. Il termine veniva tradotto nella Vulgata come vallis Lacrimarum[1] e da lì è certamente stato preso dall’autore della Salve Regina.
Concentriamoci
sul senso dell’espressione all’interno del contesto originario, quello del
salmo; l’autore esprime con questa immagine il fatto che se si “punta” a Dio,
se si sta camminando verso Dio, qualunque paesaggio, fosse anche la “valle del
pianto” o “valle degli sterpi”, viene trasfigurato e trasformato: siamo in un
contesto di ottimismo diremmo “estremo”, giustificato dalla presenza del Tempio
in cui abita il Signore, al termine del tragitto del pellegrino. La valle arida
diventa una sorgente, le prime piogge la fanno fiorire, chi cammina (in
salita!) verso Gerusalemme sente addirittura crescere le proprie forze.
Riconsideriamo ora l’espressione
all’interno della preghiera mariana medievale, anch’essa caratterizzata da un
andamento in tre rapidi movimenti, che esaminiamo brevemente.
La parte iniziale è chiaramente
un saluto, come saluto è la preghiera principale mariana, anch’essa di origine
biblica, l’Ave, Maria; ma la preghiera della Salve considera la
Madre di Gesù come Regina della misericordia, dunque nella sua maestà e nel suo
potere di intercessione verso la misericordia del Padre. E per questo ne mette
subito in luce pure alcuni tratti molto affettuosi e benevoli dal nostro
punto di vista: vita, dolcezza, speranza.
Ad te clamamus, exules filii Hevae
ad te suspiramus, gementes et
flentes in hac lacrimarum valle.
Nella seconda parte, quella
centrale, si “rappresentano” la nostra condizione e il motivo per cui ci
rivolgiamo alla Regina della misericordia; un motivo certamente di privazione:
esilio (in quanto figli di Eva, che hanno perso il Paradiso terrestre),
sospiri, gemiti e pianti nella valle delle lacrime. La caratterizzazione
della situazione di sofferenza viene “caricata”: i diversi termini scelti sono
tutti molto espressivi e connotati negativamente. Da notare il ritmo molto
“biblico”, a strofe abbinate (e in questa seconda parte anche l’incipit
ripetuto – ad te – sottolinea il parallelismo concettuale dei due
“versi”).
Eia ergo, advocata nostra,
illos tuos misericordes oculos ad nos converte
et Iesum, benedictum fructum
ventris tui, nobis post hoc exilium ostende.
La richiesta conclusiva alla
nostra “avvocata” è di guardarci, di rivolgerci lo sguardo notoriamente
misericordioso e di mostrarci Gesù (il Salvatore), facendoci così già uscire da
questo esilio… cioè facendoci entrare di nuovo in Paradiso!
Si può considerare che la
drammatica descrizione centrale è incorniciata dalla prima parte (solenne e
affettuosa allo stesso tempo) e dalla terza, che è un’invocazione piena di
speranza nello sguardo misericordioso di Maria e soprattutto nella presenza
salvifica di Gesù; la seconda parte dunque tende a far risaltare le altre due,
polarizzando al negativo la nostra condizione attuale. Forse l’allusione alla vallis
lacrimarum del salmo 84, che costituisce un esempio paradossale di forte
antitesi in un contesto del tutto positivo e ottimista, tende a riprodurre lo
stesso “clima” del Salmo 84. Si potrebbe ulteriormente ipotizzare che il verso
10 del Salmo venga ripreso dal riferimento a Gesù nella preghiera mariana.
Mi pare che si possa dire che
l’origine biblica dell’espressione valle di lacrime aiuti molto a
inquadrarne il significato e il valore nella preghiera della Salve Regina; nei secoli, perdendo di
vista tale origine ed estrapolandola dal contesto della preghiera mariana, pian
piano l’espressione è stata intesa sempre più in tono drammatico e negativo,
con tendenze pessimiste: la vita umana sulla terra sarebbe vista e vissuta dai
credenti come una “valle di lacrime”.
Possiamo aggiungere anche una
breve osservazione linguistica: la traduzione italiana “valle di lacrime” è
proprio sulla linea “pessimista”; viene facilmente intesa quasi come un “complemento
di materia”, come se la valle fosse tutta e solo costituita “di lacrime”. Se
invece si fosse tradotto in hac lacrimarum valle con “in questa valle
delle lacrime”, sarebbe risaltata forse in modo più evidente l’allusione al
salmo, in quanto si sarebbe inteso che esiste una valle chiamata “delle
lacrime”, cui la nostra vita talvolta assomiglia.
Recuperare le origini bibliche,
come sempre, aiuta a comprendere l’orizzonte di significato di una preghiera
che, nata dalla fede, ne è imbevuta e proprio per questo respira l’ottimismo
non ingenuo di chi poggia la sua vita e il suo impegno sulla Presenza, solenne
e affettuosa ad un tempo, di Dio (e per i cristiani, della Madre del Dio
incarnato e Salvatore).
[1] La
versione della Vulgata traduceva così i versi 6 e 7 del Salmo 83 (ora
84), nel Salterio cosiddetto Gallicanum: 6. beatus vir cui est auxilium abs te: / ascensiones in corde suo
disposuit , 7. in valle lacrimarum,
in loco quem posuit. Nel
successivo lavoro di traduzione intitolato Psalterium iuxta Hebraeos,
lo stesso san Girolamo traduceva l’espressione come in valle fletus. Il Salterio Gallicano è quello che infine prevalse
nella diffusione medievale della Vulgata. Il termine ebraico, toponimo, non è particolarmente chiaro, ma allude
chiaramente a una valle “degli sterpi” o “dei rovi”. La somiglianza tra baka’ e bakah, che significa “gocciolare, piangere”,
secondo gli esegeti può aver portato a questa interpretazione da parte della
Vulgata. Ringrazio il prof. Marco Valerio Fabbri per avermi fornito una
consulenza sulla storia del testo.
[2] Silverio Mattei, nella voce Salve
Regina dell’Enciclopedia Cattolica, vol. X, coll. 1719-1721, spiega che la parola Mater
è stata aggiunta in un secondo momento; evidenzia inoltre che “la S.R. è
una prosa ritmica e può considerarsi una sequenza con unica rima in –e”
(anche –ae, con lo stesso suono), che individua dunque la chiusura di
ogni “versetto”. Ecco dunque una chiave certa per esaminare la struttura
dell’antifona. Le invocazioni finali sono tradizionalmente considerate
un’aggiunta attribuita a san Bernardo (O clemens, o pia, o dulcis Virgo
Maria).
grazie, Paolo
RispondiEliminaanch'io ogni tanto mi chiedevo sul vero significato di questa "valle di lacrime" in cui, come diceva un'amico, nonostante tutto mi trovo abbastanza bene!
auguri
Alberto
Il giardino di Eden si è trasformato in un valle di lagrime e l'uomo creato ad immagine e somiglianza di D-o si è trasformato in una bestiola che geme e piange ...
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